Muhammad Alì, 81 anni fa nasceva l’uomo. Il mito. La leggenda
“I campioni non si fanno nelle palestre. I campioni si fanno con qualcosa che hanno nel loro profondo: un desiderio, un sogno, una visione”.
3 volte Campione del mondo dei Pesi Massimi, Campione Olimpico a Roma ’60, 37 vittorie per KO su un totale di 61 incontri disputati. Nella sua vita fu molte cose: pugile, attivista e filantropo. Proprio come obiettore di coscienza si rifiutò di combattere nella Guerra del Vietnam, venendo arrestato, accusato di renitenza alla leva e spogliato del titolo iridato. Il 17 gennaio di 81 anni fa, a Luoisville, nasceva Cassius Clay. Per molti Muhammad Alì. Per tutti “The Greatest”.
Nel giorno di quello che sarebbe stato il suo compleanno, ricordiamo Muhammad Alì con un aneddoto tra i più significativi della sua vita.
Alle 8:00 del 28 aprile 1967, un ragazzone afro-americano si presenta all’Armed Forces Induction Center di Houston, in Texas. La guerra del Vietnam infuriava e i soldati statunitensi morivano a centinaia. Per le strade degli Stati Uniti, i manifestanti bruciavano le carte di leva e gli obiettori di coscienza scappavano in Canada. Lui ha superato con successo le visite mediche e i test attitudinali e viene dichiarato idoneo a partire per il fronte.
Il tenente Steve Duckley grida a gran voce :«Cassius Macellus Clay, esercito. Tre passi e presti giuramento». Non si alza nessuno, la formula si ripete e, di nuovo, nessuna risposta. Ora, ci troviamo di fronte a due problemi: il primo è che tutti i presenti conoscono quel nome e anche la faccia di chi, quel nome lì, lo porta, ed è proprio quel ragazzone seduto tra gli altri. Il secondo è che, proprio quel tizio, si è appena convertito all’Islam ed ha cambiato ufficialmente il suo nome in Muhammad Ali.
Succede, allora, che il tenente si rivolga a quel ragazzone, che appena tre anni prima si era laureato campione mondiale dei pesi massimi, battendo un certo Sonny Liston e lo avvisi che, in caso di rifiuto all’arruolamento, ad aspettarlo troverebbe – bella e pronta – una cella tutta per lui. Che si fa? L’ex Cassius Clay viene, quindi, condotto in una stanza adiacente, interpellato di nuovo – stavolta davanti ai funzionari dell’FBI – ma ancora non arriva alcuna risposta. Anzi, Muhammad Ali si limita a firmare la sua dichiarazione di rifiuto.
Il giorno seguente, la Commissione pugilistica dello Stato di New York gli ritira la licenza di pugile ed anche il titolo mondiale. Alì viene condannato a cinque anni di reclusione e a pagare una multa di 10.000 dollari. Quando gli chiederanno come mai si fosse schierato contro il conflitto, le sue dichiarazioni rimarranno nella storia.
«La mia coscienza non mi permette i andare a sparare a mio fratello o a qualche altra persona con la pelle più scura, o a della gente povera e affamata nel fango per la grande e potente America. E sparargli per cosa? Non mi hanno mai chiamato “negro”, non mi hanno mai linciato, non mi hanno mai attaccato con i cani, non mi hanno mai privato della mia nazionalità, stuprato o ucciso mia madre o mio padre. Siete voi il mio nemico, il mio nemico è la gente bianca, non i Vietcong, i cinesi o i giapponesi. Voi siete i miei oppositori se voglio la libertà, siete voi i miei oppositori se voglio giustizia. Siete voi i miei oppositori se voglio uguaglianza. Voi non mi sosterrete mai in America, per il mio credo religioso. E volete che vada da qualche parte a combattere. Ma, voi, difendete mai me, qui a casa? No, non andrò a diecimila miglia da casa per aiutare a bruciare e assassinare un’altra nazione povera, solo per conservare la dominazione dei padroni bianchi sui popoli di pelle scura in tutto il mondo. […] Mi hanno avvertito che prendere questa posizione metterà a rischio il mio prestigio e potrebbe farmi perdere milioni di dollari, che guadagnerei come campione di boxe. Ma non disonorerò la mia religione, la mia gente e me stesso per diventare uno strumento per la riduzione in schiavitù di coloro che stanno combattendo per la giustizia, la libertà e l’uguaglianza».