Ode a Clay Guida, uno degli ultimi guerrieri dell’ottagono
L’evoluzione dal punto di vista tecnico delle mixed martial arts probabilmente è quella più veloce mai avvenuta in qualsiasi altro sport. In nessuna disciplina infatti ci si è ritrovati di fronte ad uno sviluppo così repentino sotto ogni punto di vista.
Oltre alle regole, sempre più orientate alla sicurezza e all’oggettività, anche per quanto riguarda gli atleti abbiamo potuto assistere ad un netto cambiamento stilistico. Dalla brutalità dei primi e selvaggi scontri si è passati ad una sempre più raffinata rappresentazione tecnica. Il risultato è stato un innalzamento dello spettacolo e il conseguente avvicinamento di nuovi appassionati, attratti dalle gesta dei campioni moderni dentro l’ottagono, ma anche e soprattutto fuori.
Ci sono fighters però che, pur arrivando sino ai giorni nostri, hanno mantenuto comunque nella loro essenza quello spirito old school che non può non piacere (o quantomeno strappare un sorriso). Un richiamo atavico che si materializza sotto forma di scazzottate furibonde, adrenalina a fiumi e quella sofferenza mista a metafora della vita che vuole che, anche se ci trova sotto una tempesta di colpi, se si ha cuore e palle si può comunque sopravvivere e, forse, andare anche a vincere.
Un esempio di tutto ciò possiamo trovarlo in un signore di nome Clay Guida.
Già, un signore, perché a 39 anni “The Carpenter” ha tutte le caratteristiche anagrafiche per essere considerato tale da tanti suoi colleghi più giovani. Peccato però che se si hanno le qualità citate nelle righe sopra l’età diventi solo un numero. E così Clay Guida è ancora lì a vendere cara la pelle come ha sempre fatto nella sua carriera sin dagli esordi in promotion di bassa caratura come XKK e IHC.
Un percorso in salita il suo, di quelli che rispecchiano a pieno il senso del termine “gavetta”. Clay Guida ha combattuto ovunque e in qualsiasi momento, alternando i duri allenamenti al suo altrettanto duro lavoro di carpentiere (da lì il soprannome che si porta dietro da 20 anni).
Sacrifici che gli hanno permesso di arrivare in Strikeforce nel 2006 dove è diventato campione dei pesi leggeri battendo ai punti Josh Tomson. A rendere tutto ancora più epico il fatto che a consegnargli la cintura sia stato il suo idolo Walker Texas Rangers. Sì, proprio lui: sua maestà Chuck Norris in persona.
Poi le brevi esperienze in Giappone nello Shooto e in WEC, prima di approdare nell’ambita UFC.
Nella promotion di Dana White non è riuscito mai ad arrivare al vertice, tranne nel 2011 quando ha affrontato Ben Henderson in una sorta di title eliminator, e nel 2013 quando si è ritrovato a sfidare il contender numero 1 dei pesi piuma Chad Mendes. Un match che lo ha visto uscire sconfitto per KO per la prima volta in carriera dopo ben 10 anni.
In mezzo tante battaglie al cardiopalma, su tutte quella contro Diego Sanchez del 2009 inserita nella Hall of Fame della UFC.
Un cuore e una tenacia incredibili che lo hanno spinto a testa bassa contro ogni avversario e contro ogni avversità. Con buona pace degli esteti del bel canto che prediligono i vocalizzi classici, Clay Guida ha sempre risposto con i suoi rutti all’angolo durante i minuti di pausa a mo’ di metallaro capitato per caso nel coro della chiesa.
Perché lui in fondo è così, con quei capelli arruffati e perennemente insanguinati per colpa (o per merito) di quelle scazzottate a viso aperto che lo hanno fatto entrare, in un modo tutto suo, nella cerchia ristretta di quei fighters destinati comunque a rimanere nella storia pur non vincendo praticamente nulla.
Ode al carpentiere dunque e a chi, come lui, ci ha fatto e ci fa emozionare dando la vita in quella maledetta gabbia dove sono racchiuse gioie, dolori e storie incredibili come quella che avete appena letto.